Tante domande su un unico filo conduttore: il declino del ceto medio della popolazione italiana.

 

20 Settembre 2013

 

Quotidianamente leggiamo e ascoltiamo: “tempi duri”, “stringere la cinghia”, “lacrime e sangue”, “manovre di salvataggio” e così via.  Eppure qualcuno è stato salvato, così come molti sono stati mandati ancora più a fondo: il ceto medio della popolazione è sempre più povero!

 

Un ceto composto da cittadini contribuenti troppo piccoli, troppo deboli e troppo senza potere per essere aiutati. Anzi, sono loro a essere costretti ad aiutare i “grandi” – grandi e voraci – attraverso l’eterno gioco fondato sulla privatizzazione dei profitti e sulla socializzazione delle perdite (alias: il guadagno a pochi e la spesa sulle spalle di tutti).

 

E pensare che un tempo, l’Italia era il Paese del risparmio, quello capace di creare una barriera di protezione contro le crisi finanziarie. Adesso questa capacità di risparmio s’è dissolta.

 

Le ragioni? Salari troppo bassi, che permetto oggi di sostenere che avere un lavoro non protegge dall’impoverimento: quasi 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti mensili, di questi più della metà sono sotto i 1.000 euro.

 

Risultato? Il 10% degli occupati è sotto la soglia della povertà (un dato tra i peggiori d’Europea). E il disagio aumenta se parliamo di famiglie giovani e con figli: per loro solo lavoro precario e spesso mal retribuito, se va bene.

 

Questo perché alle azioni di risanamento dei conti pubblici non è stato accompagnato da misure incisive per la crescita. E, cosa forse ancor più raccapricciante, è che nei Paesi “normali” le tasse si rimuovono prima sulle persone e sul lavoro, lasciando magari inalterate quelle sulle rendite patrimoniali/immobiliari/finanziarie, mentre in Italia avviene il contrario. Chiediamoci il perché, pensando all’IMU.

 

Chi maggiormente paga il salatissimo conto di questa mala gestione economico-finanziaria del Paese, è il ceto medio italiano. E la storia ci insegna che una crisi pesante del ceto medio ha sempre giocato contro la democrazia: basta guardare ciò che accade in Parlamento per distinguere un ceto medio diseducato politicamente (e non solo), che non è in grado di fornire alcun appiglio.

 

Quest’ampia premessa è fatta per offrire ai lettori e concittadini uno specifico argomento di discussione inerente al tema legato al ceto medio della popolazione: il pagamento dell’IMU sulla seconda casa.

 

In queste settimane di dibattito circa la soppressione dell’Imposta Municipale Unica (IMU) sulle prime case, sono emersi interrogativi sul perché la sua soppressione, che ha una portata - rispetto ad altri oneri fiscali - poco rilevante per chi abbia l’abitazione di proprietà e non molto altro, sia assurta a questione vitale per le sorti del Paese: la soluzione di tutti i problemi economici che affliggono le famiglie italiane!

 

La casa come bene ultimo e supremo del cittadino. Questa è l’operazione psico-sociale compiuta da alcune forze politiche, che oggi contribuiscono al governo della Nazione.

 

Per ulteriore transfert, la lotta alla tassazione sugli immobili (l’80% degli italiani è proprietario almeno della casa destinata a prima abitazione) si trasforma in un “crociata” ideale, a difesa dei sacri valori della Nazione: famiglia, proprietà, risparmi.

 

Partendo dal ceto medio della popolazione - quello più esposto a processi d’impoverimento (forte tassazione e alto tasso disoccupazione) - ci si domanda se, oltre alle efficaci strategie di marketing applicata alla comunicazione politica, c’è la possibilità di affrontare questi temi con uno spirito più razionale e più “onesto” nei confronti dei cittadini. E m’interrogo subito sul perché il Governo nazionale ignora quanto previsto dal D.L.vo n°23/2011, ove all’art. 9 elenca i soggetti passivi dell’IMU, titolari di determinati diritti reali di godimento sull’immobile oggetto dell’imposta: la stipula di un contratto di comodato d’uso gratuito realizzato al figlio, per esempio, comporta inevitabilmente un mutamento del soggetto passivo d’imposta. Non è un dettaglio di poco conto, poiché un soggetto proprietario di una casa può distinguere la proprietà fisica del bene immobile, dall’utilizzo dello stesso, originando due diritti definiti reali: quello di proprietà e quello di uso.

 

All’anomalo lapsus su una Legge nazionale (la n°23 del 2011), si associa la negazione o quantomeno il non riconoscimento di un “diritto”, quello di abitazione (alias: usa tu l’immobile al posto mio, affinché possa viverci la tua famiglia), ben scandito nell’articolo 1022 del nostro Codice Civile.

 

Giacché il “diritto di abitazione” - come tutti i diritti reali - può essere costituito attraverso la stipula di un apposito contratto, pena nullità della costituzione del diritto (art. n°1350 comma 1 n°4 del Codice Civile), si chiede al signor Sindaco e all’Amministrazione tutta del Comune di Bagheria di sanare la distrazione del Governo nazionale e far uso del Codice Civile (articoli 1022 e 1023), riconoscendo il “diritto di abitazione” e dare così fiato al ceto medio della popolazione bagherese con esclusione dell’imposizione fiscale come seconda casa quando la stessa è concessa gratuitamente a un proprio familiare perché ci viva.

 

L’opinione è forse il solo cemento della società (scriveva l’illuminista C. Beccaria) e per questo mi auguro e invito i lettori e concittadini a esprimere e divulgare la loro di opinione: il presupposto di una democrazia reale e pluralista.

 

 

 

Angelo Puleo

 

Dottor Agronomo e Consigliere Comunale di Bagheria